Si va sempre più verso un futuro in cui ci sarà una simbiosi tra uomo e dispositivi. Esiste un termine per indicare il concetto: cyborg. Nel linguaggio della fantascienza significa un essere che combina elementi biologici e artificiali e quindi ha parti del corpo sostituite o potenziate da componenti meccaniche o elettroniche, come arti artificiali o impianti cerebrali.
Oggi lo scenario non è più fantascientifico e i cyborg stanno diventando realtà. Ray Kurzweil, inventore e scrittore newyorkese, è arrivato a dire che “nel 2050 robot microscopici circoleranno nei nostri capillari, trasformandoci in umani non biologici”. Non possiamo sapere se andrà esattamente così, ma sappiamo che già ci sono casi in cui uomo e macchina diventano un tutt’uno. E le persone ne possono trarre benefici.
Mi ha colpito la storia di una donna australiana riportata dalla rivista del MIT di Boston: Rita Leggett, così si chiama la signora, ha partecipato a una sperimentazione clinica che prevedeva l’inserimento nel suo cervello di un impianto pensato per aiutare le persone con epilessia. Il dispositivo le ha cambiato radicalmente la vita, permettendole di prevedere e gestire i suoi attacchi epilettici. Ma dopo due anni l’azienda che aveva prodotto l’impianto è fallita e Leggett è stata costretta a rimuoverlo. È stato un dramma: non ha potuto più prevedere gli attacchi ed è tornata a star male, come e più di prima.
Situazioni come queste, che in futuro diventeranno sempre più frequenti, pongono anche problemi di natura etica. La rimozione di un impianto che è diventato parte integrante dell’identità di una persona potrebbe rappresentare una violazione dei diritti umani. Alcuni esperti di etica e studiosi di diritto stanno valutando di aprire un dibattito sui “neuro diritti”, un sottoinsieme dei diritti umani incentrato sulla protezione del cervello e della mente umana.
Bisogna accogliere con favore tutta la tecnologia che ci può aiutare a superare una malattia, o a limitarne i danni. D’altra parte la situazione può complicarsi per vari motivi, come nel caso della donna australiana. Se ne devono occupare di concerto gli esperti di tutti i campi coinvolti. Ma non dobbiamo mai smettere di fare ricerca e sperimentazione per migliorare la salute degli esseri umani.