Confesso.
Non rispondo al telefono ormai da circa un anno. Il mio telefono è impostato per ignorare le chiamate, a parte quelle dei familiari e di circa 10 persone con cui ho a che fare per lavoro.
L’ho fatto perché ho realizzato che negli anni ho distribuito migliaia di “bottoni interrompi Marco” (ovvero il mio numero di telefono), e chiunque, con quel bottone, può interrompere quello che sto facendo. Ma non solo mi interrompe: quando preme il “bottone” mi obbliga anche a dedicargli dai 5 ai 30 secondi di convenevoli dovuti in una conversazione telefonica, a prescindere dal contenuto successivo.
Insomma, un “bottone interrompi Marco adesso per minimo un minuto”.
Ho disattivato anche i suoni delle notifiche del telefono, sempre escludendo i familiari.
In questo modo, anche il “bottone distrai Marco” nelle mani di migliaia di persone è disattivato.
Non sostengo che questo sia il modo migliore per vivere e interagire con gli altri. Semplicemente volevo condividere con voi questa mia scelta e i suoi risultati.
Chi vuole parlare con me, se ha urgenza, nella maggior parte dei casi manda un messaggio che però non vedo subito.
Magari sto scrivendo, oppure studiando. Magari sono concentrato nel fare le slide per lo speech del giorno successivo. Magari sto testando quello script, quel prompt o quel modello appena scaricato da Huggingface. Magari sto parlando con i miei figli. Oppure sto semplicemente pensando a qualcosa che mi ha fatto riflettere. Magari il seme di una nuova idea per qualche progetto a cui sto lavorando. Magari sto semplicemente guardando fuori dal finestrino di un’auto col cervello in fase alpha.
Tanto ho il telefono in mano la maggior parte del mio tempo. Lo uso per tutto. Il mio lavoro passa quasi tutto da lì: notizie di settore, post sugli argomenti che studio, o paradossalmente un’altra conversazione via chat.
Tutto in una sorta di frequenza online/offline, attenzione alta o bassa, in cui tra un’onda e l’altra guardo i messaggi e chi mi ha cercato. Poi decido cosa fare. Ma senza che questo sia un “bottone interrompi Marco adesso”.
Giusto? Sbagliato?
Non so. So solo che negli ultimi 40 anni ho sperimentato su di me, per lavoro, gli effetti e le dinamiche dei nuovi mezzi di comunicazione prima della massa, e molto spesso mi sono trovato quindi a modificare la mia vita in modo che poi avrebbe influenzato anche gli altri anni dopo.
Quando nel 1999 pubblicavo sul mio blog pensieri quotidiani o foto delle cose che facevo e vedevo, mi chiedevano “perché lo fai? Che senso ha?”. Dopo qualche anno mi sono stufato e piano piano gli stessi che mi facevano quelle domande hanno iniziato a pubblicare sui social le foto a tavola di ogni piatto e un selfie quotidiano dallo specchio dell’ascensore.
Ma ancora prima, nel 1993, quando ero collegato a Internet dalla mattina alla sera e pensavano fossi pazzo. Oppure nel 1990, quando ho comprato il mio primo telefonino e ridevano chiedendomi se serviva per avvisare a casa di buttare la pasta.
Per non approfondire quando alle medie mi annoiavo a scuola e prendevo voti pessimi perché volevo tornare a casa a “programmare il computer”…
Insomma, magari sbaglio, ma c’è il rischio che tra qualche anno, molti di voi che oggi stanno leggendo questo post e pensano “questo è fuori!”, inizieranno a togliere a tutti il bottone “interrompimi quando vuoi”.