Perché la blockchain nel tracciamento alimentare non è una soluzione.
Il principio per cui alcuni affermano che la blockchain possa risolvere i problemi dell’affidabilità del tracciamento alimentare è che un database tradizionale può essere modificato, mentre la blockchain no. E questo quindi rende sicuro il dato…
Ma è davvero così? No.
Perché la blockchain certifica solo che il dato corrisponde a quello che è stato inserito. Anche se falso!
La blockchain serve per garantire che i dati scritti non siano stati modificati.
Nel tracciamento alimentare per esempio i dati climatici come l’umidità, la temperatura o i valori di un processo, come la temperatura di fermentazione, la maturazione, l’acidità, il tempo di stagionatura. Oppure quelli di trasporto o di conservazione. Come la verifica della catena del freddo. Tutti dati che, se inseriti manualmente nella blockchain, possono essere falsati prima di essere inseriti e, se inseriti direttamente dal sensore, possono essere alterati alterando il sensore.
Con l’aggravante che se un umano scrive un dato sbagliato per dolo, può essere punito. Se lo fa un sensore, no. E non si sa nemmeno chi lo abbia modificato. Potrebbe essere stato alterato da un ”hacker” o apparire come rotto e malfunzionante.
Si possono modificare i dati in inserimento, esattamente come si possono modificare i dati inseriti di un database. Stessa “insicurezza” intrinseca. Non cambia nulla.
Il problema del “Garbage in / Garbage out” è intrinseco a qualsiasi applicazione software per la tracciabilità, che sia basata sulla blockchain o su database tradizionali.
Nel tracciamento alimentare quel che conta dovrebbe essere la qualità del dato prima della sua immutabilità.
Inoltre qualità del dato non significa prodotto di qualità. Si pensi alla certificazione ISO 9000: certifica che tu produci quello che hai dichiarato di produrre nella certificazione, ovvero, se certifichi di utilizzare sterco di maiale per fare i dolci, non puoi poi usare sterco di capra. Sempre sterco è!
L’unico scopo per cui oggi le aziende possono usare con senso la blockchain è solo in termini di comunicazione, rafforzando il senso di credibilità nei propri clienti evidenziando la proprietà dell’immodificabilità dei dati immessi. Che, come detto sopra, non garantisce al consumatore.
Un olio che ha recentemente pubblicizzato l’uso della blockchain sulla sua etichetta, scrive: “Qualità tracciata blockchain”. Infatti non possono scrivere “qualità assicurata”, né “garantita” e nemmeno “certificata”. É solo tracciata.
Peraltro nel caso in oggetto hanno usato un QR code per la verifica, ma che punta a una query di un database tradizionale, non a un entry Point della blockchain… Quasi un paradosso che fa pensare al mero scopo di comunicazione e non di sostanza.
Ma anche se i passaggi fossero “certificati”, chi ne controlla la congruità? Se non si traccia tutta la filiera, non serve a nulla tracciarne una sola parte.
Ci sono paesi comunitari “meno attenti” da cui passano i prodotti alimentari che provengono da Paesi non comunitari! Il prodotto quindi non può essere tracciato sin dalle sue materie prime. E i calcoli di congruità dei dati da chi vengono definiti? Chi li applica? Se dai passaggi si dovesse evincere che un’azienda compra 100kg di grano e produce 500kg di pasta, chi ne calcola e ne evidenzia l’incongruità?
Non ultimo il fatto che si possa decidere cosa tracciare.
Se non si tracciano i prodotti chimici utilizzati per la produzione, come faccio a certificare la qualità? Posso scrivere in modo immutabile tutto quello che uso. Ma quello che NON uso? Come faccio a certificare che NON ho usato un determinato pesticida dannoso per l’uomo? In generale nel caso di errori fatti certifica proprio chi lo ha commesso. Se scrivi il dato… ma se non lo scrivi? In generale la blockchain può essere utile quando il certificatore non è affidabile. Ma in questo caso chi è il certificatore della qualità dei prodotti alimentari? Lo sono le istituzioni!
Tutti i dati della filiera alimentare dei prodotti dovrebbero essere gestiti, tracciati e regolamentati da enti statali o che agiscano per conto loro. Utilizzando la tecnologia che riterranno più adatta allo scopo. Non ha senso che se lo faccia da sé un produttore privato. Se è lo stesso soggetto che immette e autocertifica lo stesso dato, il fatto che sia immutabile è secondario e indifferente.
Come diceva Steve Jobs non bisogna creare una tecnologia e poi cercare un problema a cui possa essere applicata.
Bisogna partire dai problemi e poi creare tecnologie fatte per risolverli.
A oggi non esiste nessun problema e nessuna alcuna applicazione in cui la blockchain sia essenziale. Nessun problema che non avrebbe potuto essere risolto senza blockchain che ora può essere risolto con essa.