Ormai, per svolgere qualsiasi tipo di professione, non si può evitare di usare la tecnologia. È così anche per avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro italiani, che nel 2022 hanno investito complessivamente 1,765 miliardi di euro in tecnologie digitali, dice l’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale del Polimi. È una cifra più o meno uguale a quella dell’anno precedente, ma ancora troppo bassa.
Queste categorie tardano a rinnovarsi e temono che il progresso tecnologico possa colpire i loro posti di lavoro. Invece le persone alle quali ci affidiamo periodicamente per sbrigare le nostre pratiche fiscali, o per difenderci in caso di azioni legali, o per avere consigli in campo lavorativo, non possono non essere aggiornate anche dal punto di vista tecnologico. Perché, se non lo sono, tutto sarà più lento e difficile, per loro e per noi.
Sono le organizzazioni multidisciplinari, cioè quelle dove i vari tipi di professionisti si riuniscono e collaborano insieme, a investire di più in tecnologia, con 25.060 euro di spesa media all’anno. I consulenti del lavoro arrivano a 11.950 euro, i commercialisti a 11.390 euro e gli avvocati a 8.890 euro. Sono proprio loro ad avere meno dimestichezza con sistemi informatici e Internet: quasi 7 studi legali su dieci investono al massimo 3mila euro all’anno.
Quali sono le tecnologie più usate? Fatturazione elettronica e videochiamate, impiegate da oltre l’80% di tutti gli studi. Per il resto, la situazione cambia molto tra le diverse tipologie: i servizi più richiesti sono le VPN (Virtual Private Network), ossia le reti private virtuali che proteggono la connessione Internet e la privacy online, e le piattaforme di eLearning, diffuse con percentuali che vanno dal 36% per gli avvocati a più del 60% per consulenti del lavoro e studi multidisciplinari.
L’aggiornamento tecnologico avviene a tassi ancora contenuti e il rinnovamento dei modelli organizzativi e di business è molto lento. Le tecnologie di frontiera, cioè quelle più sperimentali e avanzate, hanno ancora tassi molto bassi di diffusione e vengono adottate solo da poche realtà lungimiranti.
Tra gli avvocati, nessuna tecnologia è diffusa in almeno la metà degli studi, nemmeno la conservazione digitale, i siti web, le reti VPN o le piattaforme di eLearning. Le applicazioni più evolute – CRM (Customer Relationship Management), business intelligence, intelligenza artificiale – sono ai margini, adottate tra il 3% e il 6% degli studi. Tuttavia, si prevede che, entro il 2023, gli investimenti in questo campo cresceranno del 7,2%.
Bisogna però vedere cosa viene acquistato e da chi: c’è sempre il rischio di acquisti inadeguati o obsoleti, magari perché il compratore non è in grado di valutare l’efficienza di un sistema o di una soluzione e si lascia convincere da venditori poco seri.
Tutte e tre le categorie professionali pensano che il principale pericolo per il futuro sia rappresentato dalle varie piattaforme digitali, alcune delle quali ricorrono anche all’intelligenza artificiale. Temono che possano dare servizi al posto loro, sostituendo le attività più standardizzate. È chiaro che c’è ancora tanto lavoro da fare sulla formazione e sulla divulgazione del digitale. Anche nel mondo dei professionisti.